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Il Bergamino di Giorgio Cesati Cassin - prefazione

Il Bergamino di Giorgio Cesati Cassin - prefazione

Prefazione di AZALEN TOMASELLI

 

Il conte Ludovico Carminati di Brembilla, detto il Bergamino, distoglie gli occhi dallo specchio.

È questo l’incipit del racconto storico con il quale Giorgio Cesati Cassin, attraversando la linea del tempo, catapulta il lettore nella corte ducale degli Sforza. Proprio lo specchio, elemento a cui il protagonista ricorre più volte nel suo flusso di coscienza, costituisce l’indizio del potere della scrittura di sdoppiare e di frantumare la realtà in una serie indefinita di combinazioni e, se possibile, di capirla meglio.

Oppure, di fissarla nell’attimo fatidico in cui per un capriccio della psiche i destini umani si capovolgono. Tenendo fermo il nesso tra la grande e la piccola storia nella cui filigrana si dipana la vita degli individui, mossi non solo da passioni, vizi, avidità di potere, ma anche da bontà acume e intelligenza.

 

Una concatenazione di eventi - quella impressa in queste pagine - articolata nella sua apparente necessità, ma con un elemento spurio e non prevedibile: il clinamen, che devia imprevedibilmente la caduta degli atomi nella portentosa macchina dell’universo. Ed è proprio questo elemento identificato da questo scrittore medico nella libertà dell’invenzione il mezzo per sottrarsi alla contingenza ineludibile dei fatti e poter accedere agli universi partoriti dalla fantasia.

Un’invenzione narrativa, dunque, quella di Giorgio Cesati Cassin, che poggia però su eventi e personaggi veri e viene maneggiata dall’autore attraverso lo sguardo sornione e disincantato del protagonista. Un doppio, a cui è affidato con raffinata ironia l’incarico di perlustrare uno dei periodi più foschi e luminosi, della nostro passato. Un periodo a cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento in cui si manifestano le prime avvisaglie delle guerre che renderanno l’Italia, preda delle mire espansionistiche di Carlo V. Il racconto, agli antipodi della scrittura filologica usata da Olmi nel Mestiere delle armi, si propone di estrarre dai fatti narrati il succo di una filosofia del vivere nonostante tutto, ben impersonata dal suo protagonista.

Il plot si snoda lungo due assi paralleli: le vicende dell’impenitente e arrogante Ludovico il Moro e quelle del Bergamino, imbastite con il gusto del narrare che trapela da ogni parola. Ne viene fuori un gustoso immaginario gruppo d’interno, in cui i due personaggi principali appaiono affiancati dalle due spose, la giovane e immatura Beatrice d’Este e la bellissima Cecilia Gallerani. La stessa fanciulla identificata dai critici nella Dama con l’ermellino, il dipinto leonardesco commissionato dallo stesso duca di Milano per rendere omaggio alla sua amante sedicenne.

Ma chi è il protagonista? Un oscuro personaggio passato alla storia per vie traverse? Il Bergamino che esce dalla penna di Giorgio Cesati Cassin è una sorta di figurante del potere o meglio di controfigura. Un anziano cortigiano, punto di intersezione involontario di altri destini, il quale, condannato a subire, ripaga il suo Signore con l’odio e l’amore, la devozione e l’astio propri dell’uomo sottomesso, obbligandosi a negoziare privilegi e favori con le inevitabili umiliazioni e sconfitte.

Ed è proprio nella strutturale ambivalenza di questo dignitario di corte, nel suo abitare universi

incompatibili che si annida - fino ad assumere il valore di una metafora del vivere, non solo
di ieri ma anche di oggi, - il senso più vero del racconto. Un racconto che unisce alla cura nell’ombreggiare le sfumature dei vari personaggi e la loro instabile natura, la raffigurazione delle forze che costellano una società lontana: dove bene e male, ragion di stato e ragioni del cuore, convenienza e arbitrio si elidono. Una società a guardarla bene, molto più simile alla nostra di quanto si possa sospettare, con le sue insensatezze, i suoi slanci, i suoi inciampi e le sue cadute.

Il risultato è un cortocircuito tra passato e presente che avvince il lettore chiamato a individuare nella figura retorica dell’ossimoro non solo l’arco di volta dell’intera impalcatura narrativa, ma la cifra stessa della realtà.

Dotato dell’intelligenza dello stupido che finge di non capire, il Bergamino assurge allora a specchio delle umane debolezze riuscendo, nonostante la salute malferma, a raggiungere un punto di approdo. Inoltre, grazie alla saggezza (di chi sa farsi spettatore del proprio destino) si reinventa non con l’astuzia della ragione, ma con la fecondità della fantasia.

La parabola di questo secondario personaggio assume così, nell’economia della storia, un significato non contingente. Avendo abbandonato alle soglie della vecchiaia il mestiere delle armi, si dedica a esercitare il mestiere dell’uomo di penna. Riesce ad alleggerire il suo fardello di acciacchi, guadagnando perfino la complicità della giovane moglie. Trova infine nella scrittura la sua pietra filosofale, l’unico mezzo capace di trasformare la realtà e - rifacendo il verso a un Machiavelli capovolto, citato più volte – trova il fine che giustifica tutti i mezzi.

Occorre aggiungere, che, oltre alle riflessioni che si possono ricavare dal viaggio in questo lontano passato, il racconto offre al lettore la godibilità di uno stile arioso e ammiccante, a cui l’autore affida una seria intenzione pedagogica. Forse dal guardare al passato una qualche lezione se ne trae e la pandemia come il mal francese possono uscire dai confini ristretti di un presente dai contorni sfocati per diventare metafora della fragilità umana.

Così lungo i capitoli, lo spaccato storico fitto di luci e di ombre, riemerge dalle nebbie con tutta la sua freschezza e vivacità e si anima di un significato che il lettore potrà interpretare a suo modo.

Inoltre, per chi attraverserà queste pagine, l’indimenticabile ritratto della Dama con l’ermellino potrà lumeggiare sia il linguaggio sublime dell’arte leonardesca, sia la controversa vicenda di una giovane e colta dama lombarda: Cecilia Gallerani. In modo che - come chiosa Giorgio Cesati Cassin, citando Corneille - “l’oscura chiarità possa cadere dalle stelle” e basti chiudere gli occhi perché una parte del passato possa giungere, viva, fino a noi.

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Stefano Romeo

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