In viaggio per scoprire il futuro della ristorazione attraverso le opinioni e le idee di chef e ristoratori.
Proseguiamo il nostro viaggio per scoprire cosa pensano e come si stanno preparando gli chef e i ristoratori alla ripartenza dopo la chiusura per l’emergenza covid-19. Dopo la pubblicazione del documento sul futuro della ristorazione a cura dell’Associazione dei ristoranti della Tavolozza, si è aperto un interessante e vivace dibattito fra gli operatori del settore ed anche con il contributo di molti clienti.
Non sappiamo ancora quando ci sarà la ripartenza del settore della ristorazione e soprattutto non sappiamo quanti e quali cambiamenti imporranno le nuove normative. Dai tavoli distanziati ai camerieri con guanti e mascherine, dal divieto di consumare al banco all’utilizzo dei sistemi di protezione individuale anche per i clienti, tutto oggi è confuso e incerto.
Dalle catene ai ristoranti stellati, dalle trattorie alle piccole aziende familiari, tutto il settore vive con preoccupazione il futuro
Qualcuno prova la strada del servizio a domicilio; altri pensano nuovi format e nuovi modelli di ristorazione; altri ancora ripensano menù e prezzi. Tutti guardano al futuro con grande consapevolezza delle difficoltà, ma è forte la voglia di reagire con speranza e ottimismo. Tutti donne e uomini, sia giovani che con maggiore esperienza, non mostrano alcuna intenzione di cessare l’attività. Superato il disorientamento del primo momento sono oggi alla ricerca di quella soluzione o di quella idea che consenta loro di superare questa fase di difficoltà e ripartire con slancio. (...)
Proseguiamo il nostro viaggio e andiamo al Ristorante dei Pescatori da Antonio
Sergio Verrando lo chef ci racconta:
“Oggi mi sento abbandonato dalle istituzioni, dal sindacato e anche dai media, che in maggioranza ci indicano come “Untori Egoisti”. In trent’anni di attività ho avuto economicamente momenti difficili, forse anche più difficili, in particolare quando ho dovuto gestire situazioni personali complicate e difficili. Lavorare in un ristorante non era forse il mio progetto di vita, quello che avrei voluto fare come lavoro, ma la chiusura del ristorante mi ha fatto capire quanto oggi sia per me importante. Per questo ho attivato il servizio a domicilio, per tornare a lavorare in cucina, un impegno che mi mancava. E lo abbiamo attivato non senza difficoltà a causa delle tante normative ed i decreti, spesso in contraddizione fra loro, che generano confusione.
Il cliente si aspetta a casa la stessa qualità del ristorante.
Non siamo una gastronomia, non serviamo soltanto piatti pronti, ma una cucina di qualità. A differenza del servizio al tavolo, dove puoi catturare l’attenzione e il sorriso del cliente con sfiziosi amuse-bouche e impiattamenti speciali, nel servizio a domicilio devi rivedere le preparazioni, i tempi di cottura, il confezionamento e anche la dimensione delle porzioni, che devono essere più ricche. L’offerta presenta un assortimento inferiore, abbiamo provato la carta del piatto del giorno con prenotazione il giorno precedente, ma con risultati poco lusinghieri dal punto di vista della quantità, ma molto utile dal punto di vista della fidelizzazione della clientela locale. Ho approfittato del tempo libero per fare ordine a casa, ordinare il mio archivio e leggere. Ma soprattutto fare formazione online, sperimentare nuovi piatti e molta autoformazione, io mi considero in prevalenza un autodidatta.
Il Futuro della ristorazione è oggettivamente nero.
Per la mia struttura vedo grandi difficoltà a causa dei costi fissi e delle dimensioni cucina. Non sarà sufficiente lavorare soltanto nei giorni delle feste e dei ponti. Per resistere avremo bisogno di lavorare tutti i giorni per recuperare i due mesi di chiusura totale. Il servizio a domicilio non so se lo manterremo anche dopo. Da un lato questo servizio non compensa i mancati incassi del ristorante e dall’altro l’ospite al tavolo tollera poco i ritardi nel servizio, come succede anche con il servizio di asporto. Alla riapertura e con le limitazioni, che ci saranno imposte, come potremo recuperare la mancata presenza degli stranieri, in gran parte francesi, che rappresentava circa il 60% del nostro fatturato? Ho molti dubbi.
E poi le norme sanitarie sembrano favorire le grandi catene di ristorazione: la distanza tra le linee di produzione e pulizia, noi già le osservavamo pienamente a partire dalle norme HACCP. Ma oggi i ristoranti hanno bisogno di aiuti concreti, che oggi non vedo all’orizzonte”.