Il Bergamino di Giorgio Cesati Cassin - capitolo VI

Il Bergamino di Giorgio Cesati Cassin - capitolo VI

Un’eccitante sensazione di essere predestinato a qualcosa di impensabile, da alcuni giorni frulla nella mente di Bergamino. La vicinanza del Moro, le attenzioni che riceve dalla duchessa, la carica di consigliere, il gusto dell’atmosfera raffinata e non convenzionale della corte rinascimentale e, soprattutto, il fatto che Cecilia non sia tutt’ora richiesta dal nobile signore occupatissimo per la discesa in Italia di Carlo VIII, fanno sì che delle questioni principali per cui i coniugi Carminati si sono insediati a palazzo, per ora non se ne parli. Le ambizioni e le mire espansionistiche di Ludovico il Moro frantumano i rapporti di forza tra gli stati italiani ed accelerano il processo di penetrazione estera. Stringe un’alleanza con il re di Francia, ne favorisce l’invasione promettendogli un appoggio militare e finanziario per conquistare il regno di Napoli. Conquistata Rapallo, annientata la flotta napoletana, Carlo VIII nel Palazzo di Asti riceve i suoi sostenitori tra cui Ludovico Sforza con la moglie Beatrice d’Este e Cecilia, il duca d’Este e Giacomo Trotti. Bergamino, impegnato con l’esercito ducale, sta occupandosi delle bombarde e non è presente. Le due donne, dalla sera del ballo, sono amicissime. Stentano a credere che quell’essere che li riceve sia il re, stortignaccolo, brutto di volto, con quegli occhi grossi e sporgenti, il naso enorme e le labbra grosse tenute aperte anche quando parla molto lentamente, quasi incomprensibile. Eppure le notizie ricevute dicono che in patria è ben voluto e ammirato per la gagliardia con cui gioca a palla, va a caccia e pratica la giostra, esercizi ai quali dedica , sembra, molto del suo tempo.

“Quanto è brutto!” sussurra a Beatrice Cecilia chinandosi verso di lei.

“Orrendo, e pensare che è molto giovane, dicono.”

“Dovrebbe avere più o meno venticinque anni…”

“Se cerca una possibile amante, se non è quella giusta o si rifiutasse, potrebbe anche ucciderla. Forse sarebbe meglio per lei!”

“Cecilia, tutte le esagerazioni della crudeltà o della pietà o, come in questo caso della bruttezza, sanno di malattia. Hai sentito invece che il re si serve di una quantità di mercenari svizzeri, provenienti dalle montagne? Per la loro grande povertà, la cui unica risorsa disponibile è la scarna agricoltura, emigrano, il che, sostanzialmente, significa prestazione all'estero di servizio militare dietro pagamento di una mercede. Sono combattenti temibili e feroci, stupratori e non fanno prigionieri.”

“Credo anche seminatori del mal francese.”

“Sì, sconosciuto prima delle scoperte di Colombo.”

“Ma che fa Ludovico? E’ un bel po’ che sta parlando con il re francese. Come fa se non conosce la sua lingua!?”

“Useranno il latino, è molto probabile.”

“Da dove ci troviamo arrivano solo dei mormorii quando è il duca che parla, nulla se è il re; tra l’altro tiene sempre la bocca aperta, muove solo la lingua.”

“La qual cosa lo rende ancora più un mostro, non cambia mai espressione come se avesse una maschera incollata al volto, sicché l’uomo che sta dietro non lo si vede proprio.”

“Ludovico si diverte, continua a ridere tra una frase e l’altra, il re invece è sempre impassibile. Che sia timido? O forse altezzoso? Ora che ci penso, la presunzione non è altro che l’armatura più sicura che un re, specie se brutto, possa indossare. Sulla sua superficie, liscia e impenetrabile, le stoccate del disprezzo, dell’invidia scivolano via, ormai innocue.”

“Sì Cecilia, hai ragione, ma più che timido a me pare furbo. Senza quella corazza la spada della brama non riesce a farsi largo nelle battaglie, i colpi vanno parati e non soltanto inferti.”

“Beatrice, mi sa che hai indovinato, quella di Carlo VIII è furbizia bella e buona. Un vero presuntuoso è vivace, brillante, se ne infischia degli altri, non ha bisogno di nascondersi, tutti sanno com’è, non deve mascherarsi con piume e lunghi strascichi. E’troppo distaccato, sfrutta il suo aspetto, è imperturbabile e si sente a suo agio ugualmente con un duca o con un poveraccio.”

“Hanno finito, Ludovico, mio padre e il mio amico ferrarese Trotti vengono verso di noi, mi sembrano sorridenti.”

 

Le trattative sono terminate. Il duca Ercole d’Este e Gian Pietro Trotti sembrano soddisfatti. Il Moro molto meno. Carlo VIII vuole che il duca l’accompagni a Pavia a salutare Gian Galeazzo con la moglie Isabella d’Aragona. Dopo il fastoso matrimonio, hanno lasciato Milano per creare la loro nuova corte a Pavia. Il giovane nipote non dimostra alcuna voglia di governare al posto dello zio Ludovico, non così Isabella che comincia a richiedere l’intervento di suo nonno, il re di Napoli, perché aiuti il marito ad assumere il controllo effettivo del ducato. Il Moro, scuro in volto, si avvicina a Beatrice e sbotta: “Non sono assolutamente soddisfatto dal comportamento del re francese che ora vuole conoscere Gian Galeazzo, come se volesse mettere il naso negli affari del mio stato. Devo stare molto attento e ho deciso di chiedere l’aiuto dell’imperatore Massimiliano, anche se mi costerà un bel mucchio di ducati.”

“Come pensi di fare?”

“Ho un’idea! Se l’imperatore mi promette di riconoscere pubblicamente la mia successione al ducato e di difendere i miei diritti, legittimando così l’usurpazione che attribuiscono agli Sforza, per suggellare la promessa gli offro in moglie mia nipote Bianca Maria Sforza, sorella di Gian Galeazzo, con la dote di 500.000 ducati e altri moltissimi doni che ho in mente!”

“Che doni, abiti lussuosi?”

“Un ricchissimo corredo, e poi gioielli… Beatrice, per me questo matrimonio è una garanzia per l’investitura del ducato che governo dopo l’assassinio di Galeazzo Maria mio fratello.”

“Non so se Massimiliano vorrà sposare tua nipote, è vedovo della prima moglie Maria di Borgogna, morta in un incidente di caccia, cadendo da cavallo, e ha già due figli… Dicono che l’amasse moltissimo…”

“… sono passati dieci anni abbondanti!”

“E poi sanno tutti che Massimiliano e suo padre non vanno d’accordo, Federico III si opporrà sicuramente, e altrettanto molti principi dell’Impero che riterranno tale matrimonio degradante per un Asburgo.”

“Vedrai che li convincerà la speranza di un mio fiancheggiamento nella campagna contro i Turchi, in fase di progettazione, ma soprattutto la generosissima dote. C’è invece un altro problema che riguarda Gian Galeazzo, sua moglie Isabella.  E’ lei che ha richiesto l'intervento del nonno, il re di Napoli, affinché al marito venisse affidato il controllo effettivo del ducato. Temendo le insistenze che sarebbero derivate dall'alleato napoletano e per rispondere a questa manovra, come ben sai ho dovuto pensare di allearmi con l'imperatore Massimiliano e con il re di Francia.”

“E’ una donna pericolosa Isabella, vorrebbe essere lei duchessa di Milano al posto mio, e mal tollera la condizione umiliante del marito al quale tu hai dato, è vero, un’istruzione vasta, anche raffinata, ma non adatta a governare. A parte la giovane età, è inesperto alle arti del potere, anche per la sua salute malferma e per la debolezza del carattere dedito com’è alle cacce e ai piaceri.”

“A proposito della salute di Gian Galeazzo, visto che devo andare a Pavia con il re, siccome ho appena saputo che mio nipote è malato, voglio sentire il mio medico di fiducia, quello che mi guarì dalla febbre terzana, Girolamo Visconti. E’ un medico completo, non uno scribacchino. Me ne intendo, anche perché l’arte della medicina un po’ la conosco e può essere appresa benissimo da soli. Dei miei medici a Palazzo mi fido ciecamente, non si smarriscono, non camminano di qua e di là nel labirinto, senza saperne uscire. Se l’arte si perde, l’errare è faticoso e ci si perde. La prima qualità per un medico è la sapienza, egli deve sapere e non credere, con la ragione.”

“Vedo che sai molto dell’arte medica, e dell’alchimia che ne pensi?”

“Da fastidio a molta gente per via del suo nome. Personalmente sono convinto che deve esistere, è un’arte necessaria. Purtroppo è usata male, ma la colpa non sta nell’alchimia. Cosicché non la si può odiare, come non si può essere nemici di uno smalto solo perché un pittore non lo sa usare. Colpevole è solo chi non la conosce e non sa usarla. Si impicca un ladro o l’oggetto rubato? Non disprezziamo pertanto la scienza per colpa degli ignoranti.”

“Se ho ben capito, Dio ha creato il ferro, ma non ciò che esso potrà diventare, ha fatto solo il minerale e ce lo ha donato in quell’aspetto.”

“Naturalmente, e avviene lo stesso nella medicina. Ciò che vediamo nelle erbe, nelle pietre e negli alberi non è medicina, è solo la scoria che nasconde sotto di essa, ben nascosta, la medicina. Liberarla non tocca al medico ma al farmacista, un servo della medicina.”

“Insomma, il medico non deve vergognarsi dell’alchimia, Dio ci dà il pane ma non come lo comperiamo dal fornaio: sono invece il contadino, il mugnaio e il fornaio che ne fanno il pane.”

“Altrettanto avviene nella medicina, il medico non deve vergognarsi dell’alchimia e nemmeno cercare in essa se non ciò che ti ho detto, altrimenti non sarà un vero medico, come l’immagine nello specchio non è un uomo!”

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Stefano Romeo

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